March 2, 2014

Innamorarsi al Pincio di Roma

Posted By Notte Roma

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Il viaggio nella Roma innamorata non può che prendere le mosse da piazza del Popolo. “Ci vediamo sotto l’obelisco”: non c’è una persona che viva a Roma che non si sia sentita dare almeno una volta questo appuntamento. Non una scelta strategica, la piazza è sempre affollata per le sue bellezze e forse anche per la consuetudine dell’appuntamento, ma di sicuro effetto. E l’effetto è importante in una città monumentale, dove ogni pietra, pure la più recente, sente l’orgoglio di testimoniare secoli di potenza imperiale per il semplice fatto di essere nell’Urbe.

Lo stesso orgoglio che provano i romani: per chi vanti natali capitolini da più generazioni, che siano veri o millantati, tutti il resto del monto è “Fuori Porta”. Non una porta qualunque, ma Porta del Popolo che, al di là delle spiegazioni storico-etimologiche, di popolare ha innanzitutto la notorietà. Perchè è l’ingresso ufficiale al cuore della città e, di conseguenza, di chi la abita. E’ il suo benvenuto: monumentale, solenne e “scritto”.

Porta delle Mura Aureliane, da cui si accedeva alla città attraverso la consolare via Flaminia, deve il suo assetto attuale a una ricostruzione cinquecentesca, dovuta all’innalzamento di circa un metro e mezzo del livello stradale a seguito dei detriti portati dalle piene del Tevere e del graduale sfaldamento del vicino colle. La facciata esterna fu commissionata da papa Pio IV a Michelangelo, che non la eseguì, affidando l’incarico a Nanni di Baccio Bigio, pseudonimo del fiorentino Giovanni Lippi. Ispirandosi all’Arco di Tito, l’architetto realizzò la porta tra il 1562 e il 1565. A conferma della commistione di sacro e profano su cui si fonda la città, il modello antico fu “benedetto” dall’utilizzo di quattro colonne provenienti dall’antica basilica di San Pietro e dallo stemma papale sorretto da due cornucopie, a sottolineare la generosità di una città che non mancava, però, di difendersi, come dimostrano merlatura e torri di guardia.

Nel 1658, tra le colonne furono inserite le statue di San Pietro e San Paolo, realizzate da Francesco Mochi per la basilica di San Paolo fuori le mura, poi rifiutate. Non manca la lapide commemorativa del restauro. La lettura più interessante però, si fa nella facciata interna della Porta, dove Roma si mostra in tutta la sua benevolenza: Felici faustoque ingressui. Per un felice e fortunato ingresso.

E’ un augurio maestoso scolpito da Gian Lorenzo Bernini, nel 1655, in occasione dell’arrivo a Roma, dopo la sua conversione al cattolicesimo, della regina Cristina di Svezia, grande appassionata della città e dell’amore, diletti che qui riuscì a unire brillantemente, concedendosi numerosi amanti. Un omaggio regale e un “trucco” scenico. Con la sua imponenza, la costruzione conduce alla piazza, ma ne preclude la vista, per conservare gelosamente la sorpresa. Limitati dall’architettura, gli occhi guardano dritti davanti a sè per poi scoprire l’accogliente abbraccio dell’area, reso ancora più caldo, nelle belle giornate, dai giochi dei raggi di sole su cupole, marmi e fontane.

Uno spettacolo capace di strappare un sorriso a chiunque, qualunque sia il suo stato d’animo. La storia riporta che è quanto accadde alla regina, prima corrucciata e , dopo il passaggio sotto la porta, improvvisamente rasserenata. Sarà per questi sorrisi rubati che piazza del Popolo è una delle mete più frequenti per il primo appuntamento. Una scelta benaugurante. Tra i noemi che ebbe la porta prima dell’attuale, c’è Porta San Valentino.

Quel “felice e fortunato” si può, quindi, riferire tanto all’ingresso che all’amore, senza dilungarsi sul concetto di “ingresso” nella vita dell’altro. Qui c’è lo spirito di Roma, con le sue forme rotonde, la non chalance con cui fonde profano – l’obelisco egiziano dedicato al dio Sole – e sacro, storia e leggenda, dall’arrivo di una regina all’uccisione dell’imperatore Nerone, fino ai raduni di streghe e demoni che si tramanda usassero l’area per i loro festini satanici. Qui le sue cupole solenni, ma anche la familiarità delle sue architetture, con le scalinate delle chiese usate come poltrone da salotto, il vociare delle strade e i venditori abusivi di rose alla ricerca di coppie. Qui, la città-isola. quella che, pure nei giorni e nelle occasioni più affollate, consente di appartarsi e sentirsi soli. In due. Basta percorrere le gradinate che portano al Pincio, giardino degli innamorati per eccellenza, dove i romani vedono nascere, crescere o magari rompersi (nella Capitale perfino per gli addii si scelgono teatri d’eccezione) le loro storie d’amore. E’ tradizione. La racconta Anna Magnani, nei panni della fioraia del Pincio, nel film Siamo donne. <<Quante macchine venivano la sera>> canta l’attrice sulle note di Com’è bello fa’ l’amore quann’è sera, <<quanta gente qua affacciata a ‘sta ringhiera, quanta folla de maschiette e de gagà, quante radio nelle macchine a sonà, nu’ scennevano le coppie ‘namorate, se ne stavano abbracciate a pomicià [...]. Ogni Topolino me pareva ‘n separè [...]. La terazza era ‘n salotto e ogni sera me pareva ‘na stellata bomboniera>>. Di film in film, dal bianco e nero al colore, è un susseguirsi di scene di corteggiamento e amori, seduzioni da sbruffoni o richieste di matrimonio.

Il Pincio è stato il primo giardino pubblico di Roma, voluto da Napoleone, ed è, visto l’affetto dei romani, l’ottavo colle capitolino. Malgrado non sia il belvedere più alto, è il più frequentato. Qui già gli antichi avevano le loro ville e giardini, ma la sua fortuna sentimentale arrivò con il più romantico dei secoli, l’Ottocento. La sistemazione attuale si deve a Giuseppe Valadier che, su mandato di Pio VII, fece di porta, piazza e colle un tutt’uno in stile Neoclassico. Più che da un architetto, la zona sembra progettata da Cupido, tra terrazze, camminamenti, viali, sculture, panchine ombreggiate, sorprese architettoniche e caffè. Salendo le scalinate che si arrampicano sulle curve del colle e seguendone le morbidezze, si accede alla terrazza monumentale.

Chi non vuole stare in mezzo alla folla stretta sul belvedere, può perdersi nel verde, a piedi o in bicicletta, sedersi a prendere una bibita o visitare una mostra. Guardandosi bene intorno. Tutto ha una storia. Il tempo lo scandisce l’orologio ad acqua costruito dal padre domenicano Giovanni Battista Embriaco, poi inserito all’interno di una fontana-giardino progettata da Giovanni Ersoch, architetto e ingegnere italo-svizzero, che firma pure il vicino chalet. Detto, per lo stile, “Capanna svizzera”, fu costruito tra il 1872 e il 1874 per mascherare il serbatoio idrico del parco che, tramite la condotta dell’Acqua Marcia, doveva alimentare la zona della città intorno a via Sistina. Sembra una costruzione in legno ma è in lamiera, coperta da una parete in cemento a losanghe e riquadri che richiamano le decorazioni tipiche dell’architettura medievale elvetica. Lungo i viali dal 1902 si trovano i busti dei personaggi del Risorgimento e della storia d’Italia. Il più curioso è quello di Angelo Secchi: sul basametro compare una scacchiera – poi furono aggiunti una colonna con foro – posta nel 1860 per “aggiustare” la posizione del telescopio dell’osservatorio astronomico del Collegio Romano, di cui Secchi era direttore. Il vero monumento all’amore è l’obelisco di Antinoo, eretto nel 130 dall’imperatore Adriano in memoria del suo favorito, annegato nel Nilo.

Non si sa come sia iniziata la relazione. Secondo alcuni, Adriano notò il bellissimo giovane durante il suo viaggio in Bitinia, per altri il colpo di fulmine fu frutto di una ricerca ordinata dall’imperatore, che voleva per sè il più bel giovane di tutta la regione. Antinoo fu per lungo tempo al fianco di Adriano. La relazione fu molto discussa dai contemporanei, così come la morte del giovane, un incidente che forse nascondeva  un suicidio o, addirittura, un omicidio. Al di là delle chiacchiere, l’obelisco testimonia l’amore tra i due, così come la divinizzazione del giovane, voluta dall’imperatore dopo la sua morte. Ritrovato nel circo di Eliogabaio a Porta Maggiore, l’obelisco, eseguito in foggia orientale, fu poi posto nella villa.

Chi cerca uno svago artistico può spostarsi nella vicina Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia, dotata di un ricco calendario di mostre, concerti ed eventi. Chi vuole concedersi una pausa con vista può fermarsi alla Casina Valadier, progettata dall’architetto Valadier come sua abitazione, ma che, data la morte di questi a lavori non ancora conclusi, fu subito inaugurata come caffè e ancora oggi ospita una vaffetteria, ristorante, feste ed è ritenuta una delle location più modaiole della città, da cui, comodamente seduti al tavolo, si può gustare la vista sui tetti. Prima di perdersi all’interno di Villa Borghese.

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